Il vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin, annunciato con enfasi e previsto a Budapest, sembra già destinato a non vedere la luce. Dopo una “telefonata molto produttiva” con il leader del Cremlino, Trump aveva evocato la possibilità di un incontro imminente. Ma la Casa Bianca ha frenato: al momento, non ci sono piani concreti.
Il cambio di tono è arrivato dopo il fallimento della conversazione tra il segretario di Stato Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Quest’ultimo ha confermato che Putin ha respinto la proposta americana di cessate il fuoco e che la Russia resta impegnata a perseguire i propri obiettivi militari in Ucraina. Nulla di nuovo: Mosca continua a parlare di “lotta al nazismo”, ma dietro quella formula c’è la volontà di cancellare l’Ucraina come Stato sovrano.
Il Cremlino non vuole un negoziato: vuole una resa. L’idea che la guerra sia una risposta all’espansione della NATO è smentita dai fatti. L’ingresso della Finlandia nell’Alleanza, che ha raddoppiato il confine diretto con la Russia, non ha provocato alcuna reazione ostile da parte di Putin. Il problema non è la NATO. È l’esistenza di un’Ucraina libera, democratica, legata all’Europa.
La propaganda russa parla di “denazificazione”, ma alle elezioni del 2019 i partiti di estrema destra ucraini hanno raccolto appena il 2% dei voti. A guidare il Paese è un presidente ebreo, Volodymyr Zelenskyy. Basterebbe questo per smontare la menzogna. Putin lo sa, ma continua a usarla per alimentare una guerra identitaria, non territoriale.
Dietro la brutalità dell’invasione c’è un progetto: distruggere l’identità ucraina. Le deportazioni, la russificazione forzata, la cancellazione della lingua e della cultura sono strumenti di un disegno politico. Le Nazioni Unite hanno parlato di crimini contro l’umanità. Non è un eccesso bellico, è la logica stessa della guerra di Putin.
Quell’ossessione nasce dal trauma della fine dell’Unione Sovietica. Da giovane ufficiale del KGB, Putin visse il crollo dell’impero come un’umiliazione. Da allora la riconquista dell’Ucraina è diventata il centro della sua visione del mondo. Per lui, perdere Kyiv significherebbe perdere la Russia.
Trump, se davvero vuole porsi come mediatore, deve riconoscere che Putin non scenderà a compromessi. Per il Cremlino, ogni risultato che non implichi la sottomissione dell’Ucraina sarebbe una sconfitta esistenziale. Mosca parlerà di pace solo per guadagnare tempo.
La realtà è semplice: non ci sarà alcun negoziato vero finché la Russia non sarà costretta a trattare. Non basteranno le telefonate, né i vertici di facciata. Solo la pressione — politica, economica e militare — potrà aprire la strada alla pace. Fino ad allora, ogni “vertice di Budapest” resterà un’illusione.
