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La pace che nasce e muore nei salotti della comoda neutralità

I cosiddetti pacificatori da salotto — quelli che si danno grandi arie di competenza geopolitica e non esitano a dare lezioni all'Ucraina — dovrebbero finalmente dimostrare che le loro penne sanno colpire come sciabole e confrontarsi con una domanda scomoda: come si riesce a negoziare un cessate il fuoco, un accordo, o qualsiasi forma di compromesso con una controparte che dichiara apertamente l'intento di cancellare intere città?

"Non ci sarà più vita. Non a Kharkiv. Non a Poltava. Non a Mykolaiv. Non a Odesa. Queste città non esisteranno. E Kyiv non esisterà"

(Tratto dalla TV di Stato russa - video qui sotto con traduzione in italiano)

Questa frase, pronunciata in diretta sulla TV di Stato russa dal propagandista Vladimir Solovyov, non è una provocazione isolata né una minaccia casuale: è parte integrante della retorica martellante che domina i canali russi, dove l’annientamento dell’Ucraina viene raccontato come obiettivo legittimo e inevitabile. In questo contesto, parlare di “negoziati” o di “compromesso” senza affrontare la sostanza di quella narrazione significa ignorare la realtà del discorso pubblico che la sostiene.

Se chi invoca la pace intende parlare seriamente di pace, allora non può limitarsi a rimproverare una delle parti — quella ucraina — per mancanza di flessibilità. Deve spiegare — con chiarezza e strumenti concreti — come si può garantire sicurezza e sopravvivenza alle popolazioni minacciate da dichiarazioni che evocano la cancellazione fisica di città e comunità. Diversamente, il linguaggio della pace resta un paravento che non affronta il cuore del problema: mentre si negozia, c’è chi invoca la distruzione totale dell’Ucraina e ci sono pratiche — come i bombardamenti a tappeto delle città — che negano esplicitamente il diritto stesso all'esistenza di intere aree abitate.

In sintesi: chi dà lezioni di pace non può sottrarsi all'obbligo di rispondere a questo dilemma morale. Altrimenti, limitarsi a fingere che tutto si riduca alla "testardaggine di Kyiv" è un modo comodo - e pericoloso - per evitare di misurarsi con la realtà.

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