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Quando la propaganda si ripete: URSS in Polonia e Russia in Ucraina

Nel settembre 1939, la Polonia fu travolta da una doppia invasione: da ovest quella nazista (1° settembre), da est quella sovietica (17 settembre). Spesso si ricorda la prima, ma la seconda non fu meno decisiva per la sorte del Paese.

L’argomento ufficiale di Mosca nel 1939
Quando l’Armata Rossa varcò il confine polacco, il governo sovietico giustificò l’operazione con una dichiarazione formale: la Polonia si era “disgregata” sotto l’urto tedesco e lo Stato polacco aveva cessato di esistere, perciò l’URSS doveva “proteggere le vite e le proprietà dei fratelli ucraini e bielorussi” che vivevano nei territori orientali.
In altre parole: l’intervento veniva presentato come una missione umanitaria per difendere minoranze etniche che rischiavano di restare senza tutela. In realtà, si trattava dell’applicazione del Patto Molotov-Ribbentrop, con il quale Berlino e Mosca si erano spartite le sfere di influenza in Europa orientale.

Un inquietante parallelo con il presente
Ottantatré anni dopo, nel febbraio 2022, la Federazione Russa ha usato un pretesto sorprendentemente simile per giustificare l’invasione su larga scala dell’Ucraina: la necessità di “proteggere” le popolazioni russofone del Donbass e di “difendere” chi sarebbe stato minacciato dal governo ucraino.
Ancora una volta, il linguaggio della “protezione delle minoranze” è stato strumentalizzato per mascherare un’aggressione pianificata e per rendere più digeribile, almeno sul piano propagandistico, un atto di guerra.

La continuità retorica

  • 1939: proteggere “ucraini e bielorussi” in Polonia.

  • 2022: proteggere “russi e russofoni” in Ucraina.

In entrambi i casi, Mosca ha usato la retorica umanitaria come paravento per un’espansione territoriale decisa a tavolino.

Perché è importante ricordarlo
La storia non si ripete mai in modo identico, ma certe strategie sì. Conoscere il precedente del 1939 aiuta a capire come certe narrazioni vengano riciclate per legittimare l’illegittimabile. La propaganda cambia i dettagli, ma il meccanismo resta lo stesso: travestire l’aggressione da “missione di protezione”.

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