Un episodio di bullismo che ha coinvolto minorenni nella città di Jiangyou, nella provincia del Sichuan, in Cina, ha scatenato diffuse proteste a causa del comportamento scorretto della polizia. Le autorità hanno schierato i reparti speciali della polizia per sgomberare la zona con la violenza.
Il 2 agosto, sui social media cinesi è esploso l’orrore: un video mostra una giovane ragazza di Jiangyou, nella provincia del Sichuan, vittima di un’aggressione brutale. Spogliata, schiaffeggiata, presa a calci e costretta a inginocchiarsi, la ragazza è stata umiliata sotto lo sguardo compiaciuto dei presenti. Alcuni di loro hanno persino filmato la scena con il cellulare.
Nel video, lungo appena tre minuti, si sente la vittima dire alle sue aguzzine che la sua famiglia avrebbe chiamato la polizia. La risposta, sprezzante, è un pugno nello stomaco: "Pensi che abbiamo paura di te? Non è che non ci siamo mai passate". Un’altra rincara: "Ci siamo passate più di dieci volte e siamo sempre state messe fuori in meno di 20 minuti". Secondo gli screenshot condivisi dagli utenti, l’incubo non è durato tre minuti, ma ben quattro ore.
La cugina della vittima ha rivelato che l’aggressione risale al 22 luglio. La ragazza era stata attirata con l’inganno in un edificio in costruzione, minacciata e poi picchiata e insultata per ore. Le è stato persino rubato il telefono. Non era la prima volta: a scuola era vittima di bullismo e isolamento da tempo.
Tuttavia, la reazione delle autorità ha indignato i residenti. La polizia ha minimizzato i fatti, classificando anche il furto del telefono come “istigazione alla violenza” — e non come rapina — giustificando la scelta con l’età degli aggressori. Se fosse stato considerato rapina, le autrici del furto, quattordicenni, avrebbero potuto essere perseguite penalmente. Invece, il caso è stato trattato come un semplice illecito amministrativo.
La rabbia è esplosa quando sono emersi sospetti di legami familiari tra le giovani responsabili dell’aggressione e figure di spicco locali, tra cui membri della polizia e del partito comunista: secondo indagini online, il padre di una delle bulle sarebbe il vicedirettore dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza di Jiangyou; un’altra sarebbe figlia del vicesegretario e commissario politico del Comitato Municipale del Partito Comunista. In altre parole, figli dell’élite locale, cresciuti nella certezza dell’impunità.
Il padre della vittima, disperato, si è letteralmente inginocchiato davanti al funzionario del governo municipale implorando giustizia. La madre, sordomuta, è svenuta più volte. Decine di cittadini si sono uniti a loro, gridando: "Sua madre non può parlare, quindi siamo qui per parlare a suo nome".
Il 4 agosto, la protesta è dilagata: centinaia di persone si sono radunate in un incrocio strategico della città, cantando l’inno nazionale e gridando slogan come "Restituiteci la democrazia", "Punite severamente gli aggressori" e "Gestite il caso secondo la legge". La polizia ha tentato di bloccare le strade, ma molti sono riusciti a sfondare i posti di blocco. Diversi manifestanti sono stati arrestati.
Nelle prime ore del 5 agosto, il regime ha mostrato il suo vero volto: un’ondata di repressione violenta. Agenti armati di manganelli, spray al peperoncino e granate stordenti hanno caricato la folla, picchiando anche chi giaceva a terra senza opporre resistenza. I video trapelati parlano chiaro: manifestanti trascinati via con la forza, colpiti a sangue, cittadini che gridano "Forze dell’ordine violente!".
Dietro la facciata di ordine e sicurezza sbandierata da Xi Jinping, si rivela così la realtà: un sistema dove la legge non è uguale per tutti, e dove i figli dei dirigenti della polizia e del Partito Comunista possono agire fuori da ogni regola, certi che nessuno li toccherà. Un Paese in cui la giustizia non serve i cittadini, ma protegge i potenti.