È rimasto in cattività per 11 lunghi mesi. Il corpo è tornato a casa, ma la sua anima è rimasta chiusa dentro quella gabbia.
Lì non c’era cielo. Solo un pavimento bagnato, una ciotola di avena rancida, e volti estranei senza nome. Lì c’erano cinghiate sulla pelle, secchiate d’acqua gelida, notti intere disteso sul cemento. Lì contavano le ombre, non le persone. Eppure è sopravvissuto.
Oggi è libero. Ma quando cala il buio, trema. Quando suona un campanello, sussulta. Quando guarda lo specchio, ha paura persino di sé stesso.
La sua voce si è spenta. È diventato silenzioso come una stanza chiusa a chiave. Prova ad aprirsi, ma dentro sente solo: “Non entrare. Io sono ancora lì”.
Questa non è la fine della guerra. È l’inizio di un’altra battaglia: invisibile, senza proiettili…ma con ferite che scavano più a fondo delle ossa.