Quando il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov è comparso in Alaska con una felpa recante la scritta “URSS”, non si è trattato di un vezzo nostalgico. Era un messaggio preciso: la Russia di Putin continua a muoversi sulla scia della diplomazia sovietica, con gli stessi schemi e la stessa logica di forza.
Non è un caso che la scena sia stata compresa a pieno dagli americani solo dopo. Lì, sul tavolo, Putin ha demolito l’improvvisata “arte dell’accordo” di Trump con il collaudato repertorio del Cremlino: ricatto, minacce, pressioni calibrate. Una scuola, quella di Andrej Gromyko, che Henry Kissinger descrisse come un terreno minato: negoziare senza conoscere ogni dettaglio significava suicidio.
Il metodo resta lo stesso: chiedere sempre più del dovuto, minacciare senza tregua, non arretrare mai. Prima o poi l’interlocutore occidentale offrirà da solo concessioni, e allora si potrà spingerlo ancora oltre. Questo approccio, affinato per decenni, ha neutralizzato senza sforzo gli ultimatum di Trump, trasformando la sua ostentata aggressività in una resa diplomatica mascherata da vittoria.
L’errore di Washington nasce dalle caratteristiche del suo stesso leader. Trump non studia i dossier, non ascolta gli esperti, rifugge i negoziati lunghi. I russi lo sanno e ne hanno fatto un bersaglio facile, piegandolo a un quadro negoziale che lega l’Ucraina a tutte le ossessioni strategiche di Putin: NATO, controllo dell’ex spazio sovietico, trattati di sicurezza e non proliferazione. Un’impostazione che consente al Cremlino di allungare i tempi indefinitamente, continuando nel frattempo le operazioni militari.
A Trump resta il merito minimo di non aver ceduto alla tentazione di un accordo improvvisato: nessuna firma avventata, nessuno scambio di armi contro vaghe promesse. Ma la lezione è lampante. Con Mosca non esistono scorciatoie né intuizioni personali: lo sguardo negli occhi non sostituisce la strategia.
Per l’Occidente, la sola risposta possibile è un fronte unito e preparato, in cui ogni alleato porti le proprie competenze e i propri strumenti contro le tattiche del Cremlino. Perché la pace non arriverà con le condizioni imposte da Putin, ma con quelle che permetteranno all’Ucraina di resistere e di costruire il proprio futuro.