Il 12 agosto 2000, il sottomarino atomico che portava il nome della città nel Sud-Ovest della Russia era affondato dopo l’esplosione di un siluro difettoso sparato durante un’esercitazione nel mare di Barents. Tutti i 118 uomini a bordo morirono, la maggioranza sul colpo, una trentina dopo aver atteso invano i soccorsi. Gli ammiragli della marina militare prima avevano negato l’incidente, poi avevano dichiarato che era stato causato da una collisione con un sommergibile americano, infine annunciarono che non c’erano sopravvissuti e che non era possibile raggiungere il sottomarino. Vladimir Putin, all’epoca neo presidente che volava nei sondaggi, venne informato solo dopo qualche giorno, e decise di non interrompere le vacanze sul Mar Nero. Solo dopo una settimana di indignazione - all’epoca la Russia possedeva ancora una stampa e una televisione relativamente liberi - il capo del Cremlino accettò l’assistenza occidentale rifiutata dai suoi militari: i sommozzatori norvegesi raggiunsero il relitto in poche ore, troppo tardi per recuperare i superstiti. La tragedia del “Kursk” era apparsa come un simbolo del disastro russo: armi difettose, dispositivi di soccorso arrugginiti, tecnologie arretrate, soldati sottopagati e generali bugiardi, ansiosi di compiacere un presidente le cui ambizioni di rivincita geopolitica avevano messo sotto sforzo eccessivo un Paese molto più fragile di quello che voleva apparire.
Dopo 24 anni, gli ingredienti fatali sono ancora gli stessi. I volti dei soldati russi che a centinaia si fanno catturare dalle truppe di Kyiv.
Le immagini dei soldati ucraini che scorrazzano per le vie deserte di Sudzha e altre cittadine russe, senza che si vedano segni di una battaglia, mentre i comunicati del ministero della Difesa russo affermano di aver respinto, liquidato, sterminato e messo in fuga.
Putin interrompe bruscamente il governatore di Kursk che comincia a riferire di 28 centri abitati già occupati dagli ucraini (secondo Kyiv, sono già 44).
La Russia che emerge dall’attacco ucraino a Kursk ricorda tragicamente quella svelata dall’affondamento del sottomarino più moderno della flotta di Putin, 24 anni fa. Con due differenze. La prima è che ora la censura manipola totalmente le informazioni in Russia. La seconda è che, nell’agosto 2000, dopo giorni di silenzi e bugie, Putin aveva recuperato accusando del disastro i suoi predecessori, promettendo di dedicarsi a restituire alla Russia la sua grandezza militare. Cinque mandati presidenziali dopo, la responsabilità è sua. Il mito della potenza russa è stato spezzato.