La mamma detenuta nel Donetsk occupato, lui a 13 anni finito nei campi scuola russi dove veniva indottrinato. Julia e Mark, supportati dalla ONG che si occupa di riportare a casa i bambini ucraini rapiti, raccontano la loro storia al TG1.
"A scuola ci facevano cantare tutti i giorni l’inno nazionale russo. Ci dicevano – racconta Mark – che gli ucraini ci avrebbero ucciso e che esiste un solo grande Stato: la Russia, che ci avrebbe salvato".
Mark oggi ha quattordici anni: ne aveva undici quando i russi hanno arrestato sua madre nella loro casa, nella città occupata di Torez. Per lui, affidato temporaneamente a un’amica di famiglia, è cominciato l’indottrinamento.
"D’estate mi hanno mandato in Russia, in un campo scuola. I militari ci insegnavano a usare le armi. Ci dicevano che presto avremmo combattuto al loro fianco. Erano gentili, tifavo per loro".
Solo dopo aver riabbracciato la madre – liberata in uno scambio di prigioniere – e dopo aver visto le bombe che i russi hanno sganciato sul suo Paese, Mark ha capito.
"Adesso studio informatica, ma quando compirò 18 anni mi voglio arruolare. Voglio combattere per la mia famiglia".
Guarda la madre: sa che lei non è d’accordo. Per salvarlo ha pagato un prezzo terribile.
"Ho firmato una falsa confessione di spionaggio. Mi dicevano: 'Se ti rifiuti, tuo figlio finirà in orfanotrofio'. L’ho fatto. In prigione mi hanno picchiata, torturata, violentata per quasi due anni".
Secondo le autorità di Kyiv, sono almeno duemila i civili ucraini rinchiusi nelle carceri russe.
Per quanto riguarda i bambini, spiegano, fare una stima è impossibile: si era parlato di almeno 20.000 minori deportati. Finora 1.700 sono stati riportati a casa, ma con traumi indelebili.
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