Le ultime riprese provenienti dall’autostrada E50, nei pressi di Pokrovsk, mostrano un’immagine eloquente dello stato attuale dell’offensiva russa: un convoglio disordinato di vecchi mezzi militari, motociclette e veicoli improvvisati che avanzano nella nebbia. Un quadro che ricorda più un film post-apocalittico alla Mad Max che le operazioni di quello che un tempo veniva definito “il secondo esercito del mondo”.
Questo è oggi il volto delle forze d’invasione del Cremlino: esauste, male equipaggiate e sempre più demoralizzate dopo quasi quattro anni di guerra. Nonostante la superiorità numerica, Mosca non è riuscita a ottenere la svolta decisiva che insegue dall’inizio dell’aggressione. Dall’altra parte, gli ucraini – in netta inferiorità di uomini e mezzi – continuano a difendere il proprio territorio con determinazione e pragmatismo, pur pagando un prezzo altissimo in termini di perdite e logoramento.
Tuttavia, resistere non significa vincere. Kyiv può mantenere la linea del fronte solo se il sostegno occidentale continuerà ad arrivare con regolarità e rapidità. Ogni drone, proiettile di artiglieria, intercettore di difesa aerea e veicolo blindato può fare la differenza contro un nemico disposto a mandare in battaglia truppe inesperte e mezzi di fortuna.
A quasi quattro anni dall’inizio dell’invasione, il conflitto è entrato in una fase di logoramento che mette alla prova tanto l’Ucraina quanto i suoi alleati. Mentre Mosca punta sull’usura e sulla stanchezza dell’Occidente, la capacità di Kyiv di continuare a combattere dipenderà dalla volontà politica delle democrazie di sostenerla. L’esito della guerra non si deciderà solo sul campo, ma anche nei parlamenti e nelle opinioni pubbliche europee e americane: è lì che si determinerà se la resistenza ucraina potrà, nel tempo, portare Mosca a rinunciare a questa folle guerra di invasione.
