Il paradosso della Russia di Putin non è che tema l’Occidente, ma che prosperi grazie ad esso. Mentre il Cremlino accusa Londra, Parigi o Zurigo di essere simboli della decadenza occidentale, sono proprio queste città a diventare i santuari del denaro russo, i luoghi in cui gli oligarchi e i funzionari di stato mandano i propri figli a studiare, investono in immobili di lusso e mettono al sicuro il frutto delle loro ricchezze spesso ottenute attraverso reti di potere e corruzione. L’influenza russa in Europa non è nascosta: è discreta, sistematica, silenziosa. Dal 2016, oltre un miliardo e mezzo di sterline provenienti da individui legati al Cremlino o a casi di corruzione statale è stato canalizzato nel mercato immobiliare britannico, trasformando quartieri come Westminster e Kensington in vere e proprie cassette di sicurezza di pietra bianca. Eaton Square, ironicamente, è ormai nota come “Red Square”. Londra ha sempre attratto ricchezze globali, da investitori americani, cinesi, mediorientali o ucraini. Ma esiste una differenza sostanziale tra chi cerca stabilità e chi invece si rifugia nei meccanismi che allo stesso tempo sfrutta e denigra. L’élite russa fa entrambe le cose: condanna pubblicamente l’Occidente, ma ne dipende in ogni aspetto privato della propria vita.
Questa interdipendenza va ben oltre i soldi. Negli ultimi cinque anni, le università britanniche hanno ricevuto più di sette milioni di sterline in donazioni russe; spesso gli stessi nomi compaiono nei consigli di fondazioni culturali e think tank, dove l’influenza non si manifesta in modo palese ma filtra attraverso la prossimità, il prestigio, la normalizzazione di rapporti convenienti. Anche online la strategia è calibrata e sottile: campagne coordinate diffondono narrazioni che mettono in dubbio l’integrità dell’Ucraina o la coerenza del sostegno occidentale, non tanto per convincere, quanto per seminare incertezza, alimentare la stanchezza, minare il senso di legittimità morale del sostegno occidentale. Il sostegno a Kyiv resta solido, ma la fatica cresce, e deviare l’attenzione è parte della tattica.
La contraddizione più evidente è però quella morale. Gli stessi che gridano contro la decadenza dell’Occidente sono coloro che più vi si rifugiano. La figliastra di Sergej Lavrov ha acquistato a 21 anni un appartamento a Kensington per 4,4 milioni di sterline. Prima dell’invasione su larga scala dell’Ucraina nel 2022, migliaia di giovani russi, spesso figli delle élite politiche ed economiche, frequentavano le migliori scuole britanniche, cercando quella “rule of law in London” che i loro genitori negano in patria — la stessa regola di diritto per cui l’Ucraina combatte oggi. E poi ci sono figure come Vladimir Solovyov, propagandista di regime che invoca bombardamenti nucleari sull’Ucraina mentre possiede una villa sul Lago di Como: quando le sanzioni gliel’hanno tolta, ha improvvisamente riscoperto il valore dei diritti europei, ma solo perché toccavano la sua ricchezza personale.
Tutto questo racconta molto più della semplice corruzione: rivela la fragilità delle democrazie di fronte alla loro stessa apertura. I mercati, le istituzioni, la libertà — pilastri delle società libere — possono essere usati come leve di influenza da chi li disprezza. L’Occidente ha costruito la propria forza sulla trasparenza e sulla fiducia, ma ciò che per noi è un valore, per Mosca è un varco da sfruttare. Mentre Kyiv combatte per la propria libertà e per difendere l’idea stessa di sovranità democratica, l’Europa è chiamata a una riflessione più profonda: come difendere i propri principi senza tradirli, come riconoscere che il pericolo non è solo nella cinica aggressione altrui ma anche nella nostra compiacente indifferenza. Perché quando il potere deride la libertà ma si nasconde sotto la sua protezione, il problema non è soltanto la loro ipocrisia, ma la nostra disattenzione.
