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Dalla capitale cosacca alle macerie di oggi: Baturyn come monito

Il 2 novembre 1708, l’armata moscovita dello zar Pietro I ordinò la distruzione della città ucraina di Baturyn, allora capitale dell’“etmanato” cosacco guidato da Ivan Mazepa. Questa terribile rappresaglia fu la risposta diretta alla decisione di Mazepa di liberare l’Ucraina dal controllo di Mosca e di orientarla verso l’Europa, scegliendo di allearsi con lo svedese Carlo XII durante la Guerra del Nord. La sua scelta non fu un atto di ribellione personale, ma un gesto di coraggio politico e di aspirazione nazionale: il tentativo di garantire al popolo ucraino indipendenza e dignità. Lo zar Pietro I, incapace di tollerare questa affermazione di sovranità, ordinò al suo viceré Alexander Menshikov di prendere Baturyn e punire senza pietà l’intera città.

Una volta assediata, le forze moscovite irruppero con furia distruttrice. Quello che seguì fu un massacro di proporzioni spaventose: la popolazione civile ucraina, composta da cosacchi, donne e bambini, fu sterminata senza distinzione. I resoconti dell’epoca parlano di atrocità inimmaginabili: uomini trucidati, famiglie intere annientate, chiese profanate e bruciate, corpi abbandonati per le strade. Baturyn, che era allora uno dei principali centri politici, militari e culturali della nazione cosacca, venne completamente rasa al suolo. Gli scavi archeologici moderni hanno confermato l’entità della distruzione e della violenza sistematica inflitta.

Le stime più attendibili parlano di un numero di vittime tra 9.000 e 15.000, tra cui migliaia di civili. Questa carneficina non fu soltanto una punizione militare, ma un atto deliberato di annientamento: un tentativo di cancellare l’élite politica, la capitale e l’identità culturale di un popolo che aveva osato rivendicare la propria libertà.

Guardando oggi alla guerra in corso in Ucraina, il parallelo appare inevitabile. Le stesse logiche di dominio e le stesse armi del terrore — la distruzione di città, l’attacco alle infrastrutture civili, l’eliminazione della leadership nazionale, la persecuzione della cultura e della fede — ritornano con inquietante somiglianza. Come a Baturyn, anche oggi l’obiettivo dell’aggressore non è soltanto il controllo del territorio, ma la negazione dell’esistenza stessa dell’Ucraina come nazione libera e indipendente.

La tragedia di Baturyn, dunque, non è un semplice episodio del passato: è una ferita che continua a sanguinare nella memoria collettiva ucraina e che oggi risuona con drammatica attualità. Ricordarla significa riconoscere il prezzo del coraggio e comprendere che la libertà, per gli ucraini, non è mai stata concessa, ma conquistata e difesa con sacrificio. Di fronte a tale storia, non si può restare indifferenti: il dolore di Baturyn e quello dell’Ucraina di oggi ci chiedono di scegliere da che parte stare — dalla parte di chi distrugge o da quella di chi resiste per vivere libero.

(Illustrazione utilizzata: "lo, Bohdan" (Trittico, parte sinistra). Oleksandr Lopukhov. 2002. Dalla collezione della Riserva "Capitale dell'Etmano") 

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