Il 15 settembre 1938 il Daily Mirror annunciava in prima pagina: Chamberlain vola per vedere Hitler oggi – “Proviamo a trovare una soluzione pacifica”.
Era il gesto simbolo della politica dell’appeasement: un tentativo disperato del Primo Ministro britannico Neville Chamberlain di convincere Adolf Hitler a fermarsi, nella speranza di evitare la guerra. L’esito è noto: pochi mesi dopo, la Germania invase la Cecoslovacchia e poi la Polonia, scatenando la Seconda guerra mondiale. L’accordo di Monaco non fu pace, ma solo una tregua sfruttata dal regime nazista per guadagnare tempo e rafforzarsi.
Il 15 agosto 2025, il copione rischia di ripetersi. Donald Trump incontrerà Vladimir Putin in Alaska, presentando l’iniziativa come “un’occasione storica” per porre fine alla guerra in Ucraina. Ma da Mosca arrivano segnali tutt’altro che rassicuranti: le proposte russe di cessate il fuoco sono accompagnate dalla richiesta di mantenere il controllo sui territori occupati nell’est ucraino. Secondo molti analisti, sarebbe una pausa tattica, utile solo a riorganizzare le forze e preparare un nuovo assalto per completare l’occupazione.
L’Europa e Kyiv temono un déjà-vu: un accordo firmato senza reali garanzie di sicurezza, che regalerebbe a Putin una vittoria strategica e lascerebbe l’Ucraina più vulnerabile di prima.
Come nel 1938, la diplomazia rischia di diventare il preludio di un conflitto ancora più duro. E la lezione storica è chiara: confondere una tregua con la pace può costare molto più della guerra che si tenta di evitare.
