Nel terzo anniversario del ritorno al potere dei talebani, l’Unesco traccia un bilancio drammatico della condizione femminile in Afghanistan, denunciando che 1,4 milioni di ragazze sono state “deliberatamente private” dell’istruzione secondaria.
Il Paese è oggi l’unico al mondo a vietare l’accesso all’istruzione a ragazze sopra i 12 anni e alle donne, come ha ribadito la direttrice generale Audrey Azoulay, che chiede alla comunità internazionale di restare unita per ottenere la riapertura di scuole e università. Le donne non possono più insegnare ai ragazzi e la carenza di docenti uomini qualificati ha ridotto drasticamente le iscrizioni, con conseguenze devastanti: aumento del lavoro minorile, matrimoni precoci, depressione, suicidi femminili e un futuro compromesso per l’intero Paese.
Intanto, l’Afghanistan affronta un’economia in stallo, disoccupazione record, povertà crescente e un clima di paura alimentato da intimidazioni, punizioni corporali e arresti. A questo si aggiungono le calamità naturali, con alluvioni che hanno già causato centinaia di vittime e almeno 38mila sfollati interni solo nel 2024, metà dei quali bambini.
Eppure, proprio mentre il regime continua a ribadire la propria linea, con l’emiro Hibatullah Akhundzada che ha dichiarato “l’applicazione della Shari’a è nostra responsabilità fino alla morte”, la voce delle donne afghane trova spazio anche sui palcoscenici internazionali: alle Olimpiadi di Parigi la velocista Kimia Yousofi, pur ultima nei 100 metri, ha corso con i messaggi “Education” e “Our rights” sul pettorale, mentre la breaker Manizha Talash, in gara per la squadra dei Rifugiati, ha mostrato un mantello celeste con la scritta “Free Afghan women”.
Gesti simbolici che hanno ricordato al mondo che la lotta delle afghane continua, al di là delle repressioni e delle celebrazioni talebane come la parata militare a Bagram, ex base americana, organizzata per commemorare la presa di Kabul di tre anni fa.
