Ieri è ricorso il trentesimo anniversario del Memorandum di
Budapest, l’accordo firmato il 5 dicembre 1994 che sancì la consegna di 1.900 bombe nucleari
dell’Ucraina alla Federazione Russa in cambio del riconoscimento dei suoi
confini territoriali. A sottoscrivere il documento alla presenza dei tre
presidenti dell’epoca, Bill Clinton, Boris Eltsin e Leonid Kravchuk, furono
Stati Uniti, Regno Unito, Russia, Ucraina, Kazakistan e Bielorussia.
All’epoca il timore diffuso era
che la dissoluzione dell’impero sovietico mettesse il suo arsenale nucleare
nelle mani di nuovi Stati potenzialmente instabili. Dopo l’indipendenza
dell’Ucraina dall’Unione Sovietica, avvenuto il 1° dicembre 1991, secondo la
Federation of American Scientists un terzo dell’arsenale atomico di
Mosca, cioè 3mila testate nucleari tattiche e 2mila strategiche, sarebbe
rimasto sul territorio di Kyiv.
I contenuti del
Memorandum
Con il Memorandum di Budapest
del 1994 l’Ucraina aderisce al trattato di non proliferazione delle
armi nucleari e cede le sue testate atomiche alla Russia che si
impegna a smantellarle entro due anni. Kyiv rinuncia così a essere la terza
potenza nucleare del mondo in cambio di un impegno delle superpotenze
dell’epoca a garantire la sua sicurezza, indipendenza e integrità territoriale.
Un accordo che coinvolge in
primo luogo Stati Uniti, Regno Unito e la stessa Federazione Russia, che
promettono di non violare i confini dell’Ucraina del 1991, inclusi la
Crimea e gli oblast di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia invasi dalla
Russia nel 2014 e nel 2022. Il testo impegna inoltre gli Stati aderenti ad
astenersi dall’uso della forza nei confronti di Kyiv e dal fare pressioni
economiche per condizionare le sue scelte politiche.
Attraverso il Memorandum la
Russia cancella 2,5 miliardi di dollari di debiti di Kyiv, che all’epoca
versa in una situazione finanziaria particolarmente difficile.
Il “diavolo nei
dettagli”: le misure previste in caso di violazioni
L’accordo ha però un punto
debole non indifferente. L’articolo 4 del Memorandum prevede che gli Stati
aderenti, in caso di violazioni della sovranità territoriale
dell’Ucraina, sollecitino “un’azione immediata del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite”. Un organismo nel quale cinque Stati hanno il diritto di
veto, Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, e che dunque può essere
facilmente paralizzato da contrasti interni.
Non a caso nel 2014, dopo
l’invasione russa in Crimea, l’Ucraina denuncia la violazione del Memorandum di
Budapest e lo stesso fanno anche Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone,
Regno Unito e Stati Uniti. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu però non prende
alcun provvedimento.
La “risoluzione non
vincolante” dell’Onu nel 2014
Il 27 marzo 2014 l’assemblea
generale delle Nazioni Unite si limita a sottoscrivere una “risoluzione
non vincolante”, la numero 68/262, in cui condanna la violazione dell’integrità
territoriale dell’Ucraina. La risoluzione passa con 100 voti a favore, 58
astenuti e 11 contrari, tra cui quelli di Russia, Corea del Nord, Bolivia e
Venezuela.
La farneticazione di Putin: “Un nuovo Stato
sorge con cui non abbiamo accordi"
Il 4 marzo dello stesso
anno il presidente russo Vladimir Putin spiega che quella che
all’epoca sta avvenendo a Kyiv è una sorta di rivoluzione, tale per cui
l’Ucraina del 2014 non è lo stesso Stato con cui la Russia aveva firmato il
Memorandum 20 anni prima: “Un nuovo Stato sorge, ma con questo Stato e nei
suoi confronti noi non abbiamo firmato alcun documento vincolante”.
Nel febbraio 2016 il
ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, aggiunge: “La Russia non ha
mai violato il Memorandum di Budapest. Esso conteneva un solo obbligo, non
attaccare l’Ucraina con armi nucleari”.
Alexey Goncharenko, deputato
del parlamento di Kyiv, intervistato da Fox News ricorda: “L'Ucraina
è l'unica nazione della storia che ha rinunciato a un arsenale nucleare, che
nel 1994 era il terzo più grande del mondo, con le garanzie di Usa, Regno Unito
e Russia. Dove sono queste garanzie? Noi ora siamo bombardati e
uccisi”.