In venti mesi di guerra di aggressione contro l'Ucraina ed ora con gli attacchi di Hamas contro Israele, ho dovuto vedere cose che non avrei mai voluto vedere, ho ricevuto video che non avrei mai voluto ricevere e fotografie che non avrei mai voluto nel mio smartphone.
Tutto questo corrode, consuma l'anima, perché è umanamente comprensibile la voglia di distogliere lo sguardo. Di non pensarci, chiudersi nel proprio piccolo mondo. Per non finire travolti. Perché chiunque veda quello che stiamo vedendo muore un po', lascia sul terreno un pezzo di sé.
L'unico rifugio possibile è la consapevolezza, il coraggio della consapevolezza. Perché è oggettivamente più facile minimizzare, tacitare la propria coscienza con qualche comodo distinguo, raccontarsi che qualcosa di inaccettabile abbia una sorta di motivazione. Anche la più violenta e lontana per il nostro modo di vivere. Non è così, conta solo la cruda immagine, lo spietato racconto di ciò che sta accadendo.
In queste giornate di profonda amarezza, di sconforto per un'umanità fallita, di dolore che si somma al dolore, mi è capitato di cercare sostegno in chi riuscì a descrivere ciò che non poteva essere descritto da parola umana.
Primo Levi in qualche misura non lasciò mai Auschwitz, dedicò tutta la propria esistenza dopo la Shoah a una mirabile, inimitabile e commovente opera di memoria a cui immolò infine la sua stessa vita. Fra gli scritti che oggi più che mai dovremmo leggere e rileggere, portare in ogni singola classe delle nostre scuole, c'è un passaggio che non mi abbandona: "Meditate che questo è stato: vi comando queste parole".
Molti di voi lo avranno riconosciuto. È un verso della poesia "Se questo è un uomo", uno dei più potenti canti sul dolore che siano mai stati scritti. Quelle parole rimbombano, mentre i social ci restituiscono la cronaca di giornate che non riusciamo ancora a capire fino in fondo.
Primo Levi viveva il terrore dello spegnersi della memoria, con lo spegnersi di chi aveva visto.
Nel mondo di oggi basta una settimana per avvertire il peso angosciante e insostenibile di chi vuole mistificare e confondere, per annacquare le responsabilità. Nel nostro tempo, troppo spesso, le ragioni delle vittime vengono mescolate alle "pseudo giustificazioni" dei carnefici, ma questo è inammissibile. Non può e non deve accadere.
Ecco perché dobbiamo ricordare che "questo è stato". Una settimana o ottant'anni fa, "questo è stato".